Un anno scolastico non facile dal punto di vista politico e sindacale si chiude con una ripresa dell’iniziativa dal cui esito molto dipende per il futuro.
Vale la pena di ricordare brevemente le ragioni di una passività per certi versi straordinaria che viviamo dal Settembre del 2015. Com’è noto la mobilitazione contro la Buona Scuola del Maggio-Giugno 2015 ha avuto caratteri che meritano di essere ricordati, quantomeno per le ricadute che hanno sul comune sentire dei lavoratori della scuola.
A una rivolta se vogliamo tardiva dei lavoratori della scuola contro la riforma renziana si sovrappone, nel Maggio 2015, la discesa in campo di CGIL, CISL, UIL, Snals e Gilda con l’effetto che in particolare l’adesione allo sciopero del 5 Maggio 2015 è stata di un’ampiezza notevolissima pure ripensando a quella giornata torna alla mente quanto affermò Karl Liebknecht “Vi sono sconfitte che sono vittorie e vittorie più disastrose delle sconfitte.”
Già allora un osservatore non accecato dall’entusiasmo avrebbe notato qual’era la sostanziale debolezza del movimento e cioè la mancanza di luoghi diffusi e coordinati di organizzazione interna; l’organizzazione, le scadenze, le iniziative erano delegate quasi esclusivamente alle organizzazioni formali, poco conta, da questo punto di vista, se istituzionali o di base, in sostanza più che un movimento in senso proprio si trattava di una moltitudine di individui che sostanzialmente tali restavano.
Già allora, sempre ad uno sguardo non annebbiato dall’entusiasmo, era chiaro che c’erano quantomeno due ipotesi: il rifiuto senza se e senza ma della Buona Scuola renziana o la gestione concertativa dell’organizzazione di tipo meritocratico che ne costituisce il programma, ma nel fuoco della mobilitazione questa differenza di prospettiva poteva apparire marginale, la lotta, in quanto esperienza estetico-esistenziale, sembrava aprire prospettive nuove ed interessanti.
Poi la Legge 107, sia pure con qualche correttivo è stata approvata e fra i lavoratori e le lavoratrici della scuola si è diffusa come potente luogo comune l’idea che, nonostante una straordinaria mobilitazione, il governo avesse vinto.
In realtà la mobilitazione non era stata affatto poi così straordinaria, per l’essenziale UN giorno di sciopero e basta pensare a quanto oggi sta avvenendo in Francia per comprendere che modesta realtà sia stata ma, come è noto, i luoghi comuni non funzionano perché fondati, basti pensare alla potenza effettiva delle fedi religiose.
Da Settembre, quantomeno come categoria, i lavoratori e le lavoratrici della scuola sono entrati in catalessi, e l’unica attività degna di nota sembra essere la produzione di ricorsi a mezzo di ricorsi ad opera di singoli segmenti della categoria sui loro problemi particolari. Un fatto certamente positivo per la categoria degli avvocati, meno per quella dei lavoratori.
Pure con l’avvicinarsi della fine dell’anno scolastico i nodi, e coi nodi anche i pidocchi, vengono al pettine, e in particolare avviene che il Ministero dell’Istruzione prema perché i comitati di valutazione delle singole scuole concludano i loro lavori e scelgano i criteri sulla cui base alcuni saranno premiati e molti avranno una calza piena di carbone.
E’ in questo contesto che si colloca lo sciopero indetto da tutte le organizzazioni del sindacalismo di base present in categoria per il 12 Gennaio, un tentativo problematico ma interessante, e comunque l’unico, di forzare l’orizzonte e di riaprire la partita.
Di per sé la piattaforma di sciopero, al di là delle accentuazioni che caratterizzano le singole organizzazioni promotrici non ha pretese di originalità: rifiuto delle prove invalsi, opposizione alla Legge 107, questione salariale. D’altro canto questi sono i problemi generali che interessano i lavoratori della scuola.
Vi sono per altro due variabili che meriterebbero una maggiore attenzione, la maggiore partecipazione rispetto al passato del personale ATA che a causa del taglio degli organici subisce un secco aggravamento dei carichi di lavoro e la persistenza, nonostante le immissioni in ruolo del 2015/2016 di una massa imponente di precari della scuola che premono, magari in contrasto fra segmenti di questo mondo, per l’immissione in ruolo.
Cosa manca e cosa solamente una riuscita della mobilitazione potrebbe produrre? Con ogni evidenza non c’è un fronte sindacale alternativo al di là di iniziative contingenti, ogni organizzazione opera in proprio quasi inconsapevole dei limiti propri e di quelli dell’intera area.
Non è mio interesse riprendere in questa sede una disamina delle caratteristiche proprie delle leadership fra di loro concorrenti del sindacalismo di base nella scuola, basta rilevare provvisoriamente che non vi è alcun segnale di una presa d’atto di quest’ordine di problemi e che una serie di stati maggiori dei secoli futuri sembrano veleggiare serenamente nella nebbia.
D’altro canto per non attribuire loro eccessive responsabilità va anche detto come già prima si ricordava che l’unica attività sindacale che sembra accendere i cuori è la pratica dei ricorsi legali che ahimè non sono esattamente una forma di azione diretta di classe ed anzi sono un evidente risultato dell’attuale burocratizzazione del mondo.
Pure, e con tutti i suoi limiti, lo sciopero del 12 Maggio sarà una cartina di tornasole da non sottovalutare. D’altro canto, e come riprova che se un Dio esiste sta dall’altra parte, CGIL, CISL, Snals e UIL – la Gilda si è sfilata e ha indetto sciopero il 12 con sindacalismo di base – hanno indetto sciopero per il contratto il 20 di Maggio, su di una piattaforma per altro ambigua assai sulla questione del riconoscimento del merito.
Piaccia o meno questa discesa in campo produrrà, con noiosa prevedibilità la solita richiesta di “unità, unitàà, unitààà” da parte di settori, e di settori combattivi, della categoria.
Per riprendere un noto e forse abusato adagio si tratta della classica situazione nella quale è impossibile non sbagliare.
Spostare al 20 lo sciopero del 12 significherebbe semplicemente riconoscere che i sindacati “veri” sono quelli istituzionali e che lo sciopero “vero” è quindi quello indetto da loro, e sopratutto accettare nei fatti la loro piattaforma e conseguentemente ridursi a portar loro l’acqua con le orecchie.
Mantenere coerentemente lo sciopero del 12 su una piattaforma anti-concertativa e tale da non prestarsi ad ambiguità, che – per essere chiari – è la scelta che ritengo sia da farsi, richiederebbe per dispiegare appieno la propria efficacia una capillare capacità di informazione, discussione, orientamento, che il sindacalismo di base è assai lontano dal possedere.
Di conseguenza sarà l’azione stessa, lo sciopero, ad essere la principale modalità di comunicazione, nei fatti prima che nei discorsi ci si schiererà a favore o contro la concertazione. Un passaggio comunque interessante.
Pure questa difficoltà non può essere rimossa e deve indurci a pensare a forme di organizzazione del conflitto di comunicazione, di battaglia politico – sindacale che non siano la stanca ripetizione di quanto sperimentato negli anni.
A chi scrive sembra a tratti stupefacente, quando vi pone attenzione, l’esistenza di una massa di lavoratrici e lavoratori che paiono inconsapevoli della natura e delle proposte del sindacalismo istituzionale e disposti a seguirne le indicazioni, pure è consapevole che se questo fenomeno c’è, esiste, ha le sue ragioni, e che su queste ragioni bisogna agire.
In particolare, e torniamo a una questione già toccata la tenuta del sindacalismo istituzionale e della concertazione è conseguenza e, in qualche misura, causa di quella burocratizzazione delle relazioni sociali nella quale la lotta sindacale si stempera, affievolisce, corrompe, sin quasi a scomparire.
Si tratta allora di spezzare il legame fra lavoratore atomizzato e ridotto a percettore di servizi in cambio di una tessera e un sindacalismo perfettamente attrezzato a porsi, appunto, come venditore di servizi.
E’ questa però una partita di medio periodo che richiede riflessione, sperimentazione, azione.
Per ora concentriamoci sullo sciopero del 12 e sforziamoci di collocarlo in questa prospettiva.
Cosimo Scarinzi